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Biomedica Studio Odontoiatrico a Sesto San Giovanni

Sesto San Giovanni

Perchè l’ortodontista ha bisogno dell’osteopatia craniosacrale?

L’ortodontista ha come obiettivo il ripristino di una relazione anatomico-fisiologica precisa ed efficace tra i denti. Egli riconosce il sottosviluppo, l’ipersviluppo o la distorsione, durante lo sviluppo, della mascella, della mandibola o di entrambe.
Per correggere i problemi collegati allo sviluppo e ottenere un’occlusione corretta, l’ortodontista utilizza degli apparecchi meccanici. L’approccio utilizzato per eliminare la distorsione di un dente rispetto ad un altro prevede l’uso di un apparecchio meccanico.
L’interesse dell’ortodontista per le ossa può far sì che egli utilizzi delle tecniche per allargare l’arco palatino esercitando un’espasione della sutura intermascellare abbastanza energica e quantitativamente misurabile. È inoltre possibile che si interessi delle dimensioni della mandibola e anche della sua relazione con il temporale. Egli è soprattutto interessanto alla forma, alla dimensione, alla relazione, in altre parole alla struttura.

Non è raro che dopo anni di eccellente lavoro ortodontico con apparecchi precisi e aggiustamenti molto mirati, si assista ad un progressivo ritorno della malocclusione, a meno che non si porti un apparecchio di mantenimento. Questo rappresenta una delusione per il paziente che sperava di avere dei denti magnifici dopo aver sopportato così a lungo gli apparecchi ortodontici. È inoltre abbastanza destabilizzante per i genitori, che hanno fatto un investimento finanziario considerevole, ma è soprattutto sconcertante per l’ortodontista, che ha fatto del proprio meglio basandosi sulle sue conoscenze.

L'osteopatia craniosacrale

Per il medico il regresso di problemi ortodontici può non essere tanto grave quanto dei disturbi alla vista, dei problemi endocrini, delle cefalee o altre disfunzioni di tipo più generale. Se il terapista non è a conoscenza del meccanismo anatomico-fisiologico del cranio, egli non riuscirà a cogliere nessuna connessione tra l’ortodonzia e i sintomi lamentati dal paziente.

Consideriamo adesso le nozioni anatomico-fisiologiche di base per stabilire questa correlazione.
I denti sono delle estensioni dei mascellari e della mandibola. A loro volta, queste ossa si articolano direttamente con tutte le altre ossa del cranio, direttamente o attraverso un altro osso. Se esaminate un cranio esploso, scoprirete che ciascun osso posside dei margini svasati, delle suture gonfose, ecc, che consentono di compiere un movimento rispetto ad ogni altro osso cranico.
La struttura istologica di un’articolazione cranica può essere paragonata a quella di un’articolazione sinoviale in qualsiasi parte del corpo. Retziaff, basandosi su ricerche condotte in prima persona e su una bibliografia estremamente completa, ha affermato che “nessuno è stato capace di dimostrare che il cranio di un essere vivente e le sue suture diventassero completamente rigidi con il passare degli anni”. (The cranium and its sutures”. Retziaff & Mitchell, Springer Verlag, 1987).

Questo movimento ritmico delle ossa craniche è una manifestazione palpabile, registrabile, misurabile, della fluttuazione dinamica e ritmica del liquido encefalorachidiano (LER), della mobilità intrinseca del sistema nervoso centrale e della funzione delle tensioni reciproche della dura madre che, a sua volta, colleva il meccanismo del cranio al sacro, il quale presenta un movimento intrinseco di bilanciamento tra le due iliache.

Il movimento è una funzione essenziale di qualunque struttura del corpo. Un movimento privo di ostacoli è essenziale per una funzionalità fisiologica.
I tramaumatismi riportati durante il parto in seguito alla compressione del bacino materno durante le contrazioni improduttive di un falso parto, oppure alla presentazione della testa in una posizione non abbastanza flessa, oppure ancora come risultato della mancanza di proporzione tra testa e bacino, per esempio, saranno dunque il primo fattore che interferirà con la funzionalità del meccanismo cranico. È possibile riscontrare in quasi il 90% dei neonati questo tipo di traumatismo con diversa gravità.

Vanno poi aggiunti i traumatismi dell’infanzia, quelli connessi ad un’attività sportiva, a incidenti in bicicletta o in auto. Tuttavia un bambino piccolo è flessibile e il suo meccanismo presenta una notevole capacità di adattamento. È possibile che siano presenti pochi sintomi che possano mettervi la pulce nell’orecchio, a parte forse delle infezioni ORL ricorrenti, difficoltà di apprendimento scolastico o problemi comportamentali, disfunzioni relative alla percezione, iperattività, diatesi allergiche, ecc. e una malocclusione.

Poi arriva l’ortodontista che impone delle forze ancora maggioni contro la resistenza del corpo e applica degli apparecchi che limitano ulteriormente il movimento intrinseco dei mascellari l’uno rispetto all’altro e rispetto ai palatini, che si articolano direttamente con lo sfenoide (ricordiamo che lo sfenoide è la sede dell’ipofisi, del tetto delle orbite e il suo di inserzione dei muscoli estrinseci dell’occhio). Può darsi che l’ortodontista utlilizzi degli elastici per migliorare il rapporto anatomico esistente tra mascella e mandibola e che, così facendo, determini uno strain che blocca il meccanismo cranico sui temporali e sull’occipite.

Può darsi che egli utilizzi un apparecchio esterno che restringe l’occipite e tutte queste diverse relazioni non solo con le altre ossa, ma anche con la dura madre, con i nervi cranici e con le strutture ad opera delle quali si ha il drenaggio venoso.

Tuttavia, se esiste un movimento fisiologico libero in tutto il meccanismo prima ancora che l’ortodontista inizi il suo lavoro, allora non resta da far altro che incoraggiare la crescita di ossa e denti in modo tale da favorire una relazione anatomica che ora essi sono in grado di accettare. Non è necessario forzarli utilizzando una resistenza rigida. Il resto del meccanismo cranico si adatterà ai cambiamenti e quindi l’occlusione corretta sarà permanente, una volta che il lavoro verrà completato. Inoltre, il programma ortodontico sarà più facile, meno doloroso e più breve.

L’ortodontista che ha imparato a formulare una diagnosi palpatoria della testa sarà inoltre capace di verificare che gli apparecchi e gli aggiustamenti siano compatibili con un movimento fisiologico libero del Meccanismo Respiratorio Primario.

Vi capiterà anche di osservare dei cambiamenti straordinari a livello occlusale limitandovi a ripristinare completamente la libertà di movimento fisiologico in ogni parte di tale meccanismo e permettendo dunque al potenziale terapeutico dell’organismo di svolgere il proprio lavoro.

Non è raro che dopo anni di eccellente lavoro ortodontico con apparecchi precisi e aggiustamenti molto mirati, si assista ad un progressivo ritorno della malocclusione, a meno che non si porti un apparecchio di mantenimento. Questo rappresenta una delusione per il paziente che sperava di avere dei denti magnifici dopo aver sopportato così a lungo gli apparecchi ortodontici. È inoltre abbastanza destabilizzante per i genitori, che hanno fatto un investimento finanziario considerevole, ma è soprattutto sconcertante per l’ortodontista, che ha fatto del proprio meglio basandosi sulle sue conoscenze.

Per il medico il regresso di problemi ortodontici può non essere tanto grave quanto dei disturbi alla vista, dei problemi endocrini, delle cefalee o altre disfunzioni di tipo più generale. Se il terapista non è a conoscenza del meccanismo anatomico-fisiologico del cranio, egli non riuscirà a cogliere nessuna connessione tra l’ortodonzia e i sintomi lamentati dal paziente.

Consideriamo adesso le nozioni anatomico-fisiologiche di base per stabilire questa correlazione.
I denti sono delle estensioni dei mascellari e della mandibola. A loro volta, queste ossa si articolano direttamente con tutte le altre ossa del cranio, direttamente o attraverso un altro osso. Se esaminate un cranio esploso, scoprirete che ciascun osso posside dei margini svasati, delle suture gonfose, ecc, che consentono di compiere un movimento rispetto ad ogni altro osso cranico.
La struttura istologica di un’articolazione cranica può essere paragonata a quella di un’articolazione sinoviale in qualsiasi parte del corpo. Retziaff, basandosi su ricerche condotte in prima persona e su una bibliografia estremamente completa, ha affermato che “nessuno è stato capace di dimostrare che il cranio di un essere vivente e le sue suture diventassero completamente rigidi con il passare degli anni”. (The cranium and its sutures”. Retziaff & Mitchell, Springer Verlag, 1987).

Questo movimento ritmico delle ossa craniche è una manifestazione palpabile, registrabile, misurabile, della fluttuazione dinamica e ritmica del liquido encefalorachidiano (LER), della mobilità intrinseca del sistema nervoso centrale e della funzione delle tensioni reciproche della dura madre che, a sua volta, colleva il meccanismo del cranio al sacro, il quale presenta un movimento intrinseco di bilanciamento tra le due iliache.

Il movimento è una funzione essenziale di qualunque struttura del corpo. Un movimento privo di ostacoli è essenziale per una funzionalità fisiologica.
I tramaumatismi riportati durante il parto in seguito alla compressione del bacino materno durante le contrazioni improduttive di un falso parto, oppure alla presentazione della testa in una posizione non abbastanza flessa, oppure ancora come risultato della mancanza di proporzione tra testa e bacino, per esempio, saranno dunque il primo fattore che interferirà con la funzionalità del meccanismo cranico. È possibile riscontrare in quasi il 90% dei neonati questo tipo di traumatismo con diversa gravità.

Vanno poi aggiunti i traumatismi dell’infanzia, quelli connessi ad un’attività sportiva, a incidenti in bicicletta o in auto. Tuttavia un bambino piccolo è flessibile e il suo meccanismo presenta una notevole capacità di adattamento. È possibile che siano presenti pochi sintomi che possano mettervi la pulce nell’orecchio, a parte forse delle infezioni ORL ricorrenti, difficoltà di apprendimento scolastico o problemi comportamentali, disfunzioni relative alla percezione, iperattività, diatesi allergiche, ecc. e una malocclusione.

Poi arriva l’ortodontista che impone delle forze ancora maggioni contro la resistenza del corpo e applica degli apparecchi che limitano ulteriormente il movimento intrinseco dei mascellari l’uno rispetto all’altro e rispetto ai palatini, che si articolano direttamente con lo sfenoide (ricordiamo che lo sfenoide è la sede dell’ipofisi, del tetto delle orbite e il suo di inserzione dei muscoli estrinseci dell’occhio). Può darsi che l’ortodontista utlilizzi degli elastici per migliorare il rapporto anatomico esistente tra mascella e mandibola e che, così facendo, determini uno strain che blocca il meccanismo cranico sui temporali e sull’occipite.

Può darsi che egli utilizzi un apparecchio esterno che restringe l’occipite e tutte queste diverse relazioni non solo con le altre ossa, ma anche con la dura madre, con i nervi cranici e con le strutture ad opera delle quali si ha il drenaggio venoso.

Tuttavia, se esiste un movimento fisiologico libero in tutto il meccanismo prima ancora che l’ortodontista inizi il suo lavoro, allora non resta da far altro che incoraggiare la crescita di ossa e denti in modo tale da favorire una relazione anatomica che ora essi sono in grado di accettare. Non è necessario forzarli utilizzando una resistenza rigida. Il resto del meccanismo cranico si adatterà ai cambiamenti e quindi l’occlusione corretta sarà permanente, una volta che il lavoro verrà completato. Inoltre, il programma ortodontico sarà più facile, meno doloroso e più breve.

L’ortodontista che ha imparato a formulare una diagnosi palpatoria della testa sarà inoltre capace di verificare che gli apparecchi e gli aggiustamenti siano compatibili con un movimento fisiologico libero del Meccanismo Respiratorio Primario.

Vi capiterà anche di osservare dei cambiamenti straordinari a livello occlusale limitandovi a ripristinare completamente la libertà di movimento fisiologico in ogni parte di tale meccanismo e permettendo dunque al potenziale terapeutico dell’organismo di svolgere il proprio lavoro.

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